La storia della Logica, come disciplina, nasce con il mondo ellenico in Occidente, con l’arte della strategia nell’antica Cina, ad Oriente. Sino all’avvento della filosofia platonica, questa era un insieme di arte e scienza messa al servizio del raggiungimento di obiettivi che potevano essere di vario tipo, come vincere una guerra o un torneo, cacciare con successo una preda, persuadere un interlocutore o risolvere complicati problemi individuali e sociali. Con Aristotele abbiamo la prima formulazione di un modello rigoroso di Logica, all’interno del quale, però, tutto ciò che non era in esso contemplato ne veniva escluso e bollato come metodo non rigoroso. Così l’arte, la creatività ma soprattutto le dinamiche non lineari bensì circolari, contraddittorie e paradossali, per quanto decisamente frequenti già allora nelle dinamiche umane, venivano escluse dall’olimpo della Logica razionale. Da allora per oltre due millenni e qualche secolo il pensiero occidentale è stato dominato dalla “dea ragione”, dal razionalismo di cui la Logica aristotelica né è stato il principale cardine.
Difatti, tutt’oggi nella filosofia accademica si fa riferimento alle logiche tradizionali e razionali come il punto di riferimento essenziale del pensiero e della pianificazione di azioni, mettendo ancora una volta fuori da questo contesto le logiche di tipo non lineare, non-ordinarie. Il fatto curioso è che se andiamo ad analizzare la costante dinamica che ognuno di noi vive con se stesso, gli altri e il mondo ci accorgiamo che ciò che la fa da padrone non è la ragione né la razionalità bensì le contraddizioni, i paradossi, le credenze, tutto ciò che viene definito ambivalenza logica.
Pochi sono gli autori che nei secoli si sono occupati di logica delle ambivalenze anche se queste stanno alla base delle più frequenti interazioni tra gli esseri umani, così come chi nei secoli si è occupato di mettere a punto strategie vincenti è sempre andato oltre i limiti imposti dalla rigida logica formale. La logica strategica, che ha la caratteristica di essere un modello di pianificazione delle azioni costruito sulla base degli obiettivi da raggiungere e dei problemi da risolvere, invece che sul rispetto della teoria di riferimento, da sempre ha contemplato i fenomeni delle ambivalenze logiche e ha utilizzato come effettivi strumenti operativi i paradossi, le contraddizioni, le profezie e gli autoinganni. Solo verso la metà dello scorso secolo alcuni studiosi si occuparono di riportare l’attenzione su questa forma di Logica, che per quanto così influente per la vita degli esseri umani, veniva esclusa dagli studi accademici. La Scuola di Palo Alto ha l’indubbio merito di aver dimostrato la effettiva importanza delle dinamiche non lineari: “la causalità circolare” che andava a sostituirsi alla “causalità lineare”, così come i paradossi comunicativi e le profezie che si autorealizzano, come elementi costitutivi di numerosi e importanti relazioni tra gli esseri umani e la loro realtà.
Giorgio Nardone, quale allievo diretto del più noto tra i “Maestri” della Scuola di Palo Alto, Paul Watzlawick, non solo ha fatto sua questa tradizione di studi, ma ne ha, attraverso il suo lavoro e le sue formulazioni, evoluto ulteriormente i modelli della logica non ordinaria. A lui si deve, infatti, la strutturazione di un modello teorico applicativo della logica delle ambivalenze suddivisa in: autoinganni, paradossi, contraddizioni e credenze che a sua volta si articolano in 13 differenti dinamiche di logica non-lineare. Tutto questo all’interno di un modello di logica strategica che permette, dato un problema, di costruirne l’effettiva soluzione in tempi rapidi, proprio in virtù del ricorso a stratagemmi logici non-ordinari. Cosa questa, che già avveniva nell’antico mondo ellenico così come in quello cinese e che, nonostante l’avvento della logica aristotelica ha continuato ad avvenire nella storia dell’umanità ad opera di artisti, scienziati, condottieri, manager.
In altri termini, il merito di Giorgio Nardone è quello di aver formalizzato un vero e proprio Modello di Logica Strategica, che da una parte rispetta quelli che sono i criteri della ricerca scientifica e del suo rigore, dall’altra favorisce l’inventività e la flessibilità applicativa e il ricorso ad espedienti che violino la Logica ordinaria. Grazie a tutto ciò, quello che dapprima era un approccio artistico, è diventato negli anni reale tecnologia di Problem Solving, in quanto i modelli di soluzione strategica messi a punto per le differenti classi di problemi si sono evoluti, divenendo non solo sempre più efficaci ed efficienti in virtù del loro progressivo affinamento, ma anche replicabili, trasmissibili e predittivi nei loro effetti.
“Il segreto è che non ci sono segreti“, l’invenzione creativa non è il guizzo di genio, ma l’analisi di un problema che permette di vederlo da prospettive non ordinarie. “Il caso“, come ci insegna Alexander Fleming, “aiuta solo le menti preparate“.
IL MODELLO DI PROBLEM SOLVING
STRATEGICO
Il famoso epistemologo Karl Popper (1972) indicava che il processo della ricerca scientifica e le fasi che conducono alle scoperte sono le seguenti:
si inciampa in un problema;
si studiano tutti i tentativi messi in atto come soluzioni;
si cercano soluzioni alternative;
le si applicano;
si misurano gli effetti;
si aggiusta la strategia sino a renderla efficace.
Questo può essere considerato il fondamento di qualunque processo di Problem Solving, pertanto esso altro non è che un metodo rigoroso per trovare soluzioni a problemi secondo le fasi che si seguono all’interno dei processi di ricerca scientifici. Tuttavia, mentre la scienza ha il compito di dare spiegazioni ai fenomeni che studia, il Problem Solving
rappresenta la
“tecnologia per trovare soluzioni”, ovvero i metodi che permettono di raggiungere gli obiettivi specifici di un progetto.
Il Problem Solving
Strategico evolvendosi sulla base di quanto riferito sopra aggiunge all’usuale recesso della ricerca scientifica alcune tecniche che contemplano l’utilizzo delle logiche non lineari per favorire la scoperta di nuovi punti di vista che permettano di trovare soluzioni anche a ciò che appare irrisolvibile.
La sequenza schematizzata è quella che segue:
Definire il problema
Accordare l’obiettivo
Analisi e valutazione delle tentate soluzioni
Tecnica del come peggiorare
Tecnica dello scenario oltre il problema
Tecnica dello scalatore
Aggiustare il tiro progressivamente
Soluzione
Come il lettore può verificare comparando questo schema con quello precedente ci sono tre tecniche originalmente ideate che vanno ad aggiungersi alle usuali procedure della pura ricerca conoscitiva: tecnica dello scenario oltre il problema, la tecnica dello scalatore, la tecnica del come peggiorare.
LO SCENARIO OLTRE IL PROBLEMA
L’attuazione di questa tecnica è rappresentata dall’immaginare lo scenario ideale una volta che tutti gli attuali problemi e disagi fossero completamente superati. In pratica si tratta di domandarsi quale sarebbe lo scenario rispetto all’attuale situazione da cambiare una volta che il problema fosse completamente risolto o quando si tratta solo di miglioramenti da realizzare una volta che l’obiettivo prefissato fosse completamente raggiunto. Dobbiamo convincer la nostra mente a immaginare quali sarebbero tutte le caratteristiche della situazione ideale dopo aver realizzato il cambiamento strategico. Questo che può sembrare un lavoro di pura fantasia è invece un modo per rilevare concretamente le caratteristiche della “realtà ideale” da raggiungere che spesso ci permette di vedere cose che prima non eravamo in grado di concepire. Questa era una delle strategie mentali preferite, non a caso, da Leonardo da Vinci. Come per lui anche nel nostro caso questa tecnica serve a liberare la pura immaginazione per poi selezionarne gli aspetti concretamente realizzabili e poi cominciare ad agire in tale direzione.
LA TECNICA DELLO SCALATORE
Questa strategia mentale rappresenta chiaramente l’applicazione di una logica inversa a quella ordinaria, poiché prevede la messa in atto di una sequenza di atti apparentemente contro senso. Ovvero, una volta chiarito l’obiettivo da raggiungere, grazie all’applicazione della precedente tecnica, si deve immaginare a ritroso la sequenza di step sino al punto di partenza, invece che, come apparirebbe più “sensato” secondo una razionalità lineare, di partire dal punto di partenza per costruire la sequenza di passi fino al punto di arrivo.
Il suo nome, non a caso, deriva da ciò che da millenni fanno tutti gli esperti scalatori i quali, nel progettare il percorso più idoneo per raggiungere una vetta, prendono avvio dalla cima e a ritroso, spazio per spazio, costruiscono quella che sarà la traiettoria della loro scalata. (Vedi grafico). Questa tecnica, come appare chiaro dalle due immagini, permette di frazionare l’obiettivo da raggiungere in una serie di micro-obiettivi a partire dal più piccolo passo con cui iniziare l’applicazione della strategia di cambiamento. Tale contro-intuitiva metodica, permette di aggirare i nostri pregiudizi e schemi prefissati, che così tanto ci impediscono di trovare soluzioni alternative a quelle fallimentari. Mai dimenticare le parole di Leonardo da Vinci: “nulla ci inganna più dei nostri giudizi”.
LA TECNICA DEL COME PEGGIORARE
L’altra tecnica, ideata in maniera originale, parte essenziale del modello di Problem Solving
Strategico formalizzato da Giorgio Nardone, è quella che rappresenta una sorta di “arma vincente” nei confronti delle situazioni apparentemente inamovibili. Questa si esprime nel domandarsi quali sarebbero le azioni da mettere in atto e quelle da evitare per volontariamente peggiorare la attuale situazione, che al contrario vorremmo migliorare. Così come, chiedersi quali sarebbero le cose che dovrei pensare volontariamente e quali evitare di pensare per deliberatamente far complicare i problemi presenti, invece che condurli alla loro soluzione. Dopodiché, stilare una attenta lista per iscritto a cominciare dalle più importanti sino alle minori. Questa che può apparire una domanda assurda, considerato che il soggetto vorrebbe migliorare la sua condizione risolvendo i propri problemi, in realtà è una forma di autoinganno strategico basato sulla logica del paradosso, ovvero: “se vuoi imparare a drizzare una cosa impara prima come storcerla di più”. Il lettore deve sapere che se io mi sforzo di pensare a tutti i modi per peggiorare la mia situazione l’effetto sarà di due tipi:
1) Identifico tutta una serie di atti controproducenti, verso cui maturerò una pressoché immediata avversione che, naturalmente, mi condurrà a evitare di realizzarli.
2) Il secondo, ancora più sorprendente, è che la mente spinta in tale direzione come una molla rimbalza nel suo opposto, ovvero nel riuscire a vedere da altri punti di vista la situazione escogitando spesso soluzioni prima nemmeno lontanamente contemplate.
Non è un caso che tutti i più grandi scienziati della storia, da Archimede ad Edison, abbiano fatto ampio ricorso a questa strategia mentale per incrementare la loro capacità di inventare. Del resto come William James, il primo grande psicologo dell’epoca moderna, scriveva:
“il genio è colui che riesce a percepire la realtà da prospettive non ordinarie".
Negli ultimi venticinque anni grazie a questo modello di Logica, oltre a formulare protocolli di trattamento di psicoterapia breve strategica, di validata efficacia ed efficienza, ci ha permesso di intervenire con successo anche in contesti non clinici, in particolare nel mondo della performance artistica, sportiva e militare, sia individuale che di team. Così come questa evoluzione teorico-applicativa ci ha permesso di applicare il modello anche al mondo delle organizzazioni produttive, siamo intervenuti in numerose aziende private ed istituzioni pubbliche, operando all’interno di queste in direzione della soluzione delle loro complesse problematiche, così come formando i loro manager
al divenire effettivi problem solver
strategici.